giovedì 15 settembre 2011

COME DIVENTARE FELICI E AVERE FORTUNA … SENZA ENTRARE IN UNA SETTA!

di Franco Nanni (PIAS)


Inauguriamo la SEZIONE TESTIMONIANZE con un contributo di Franco Nanni, un'intelligente ed equilibrata riflessione critica sulla sua personale esperienza nella Soka Gakkai alla luce di contributi scientifici interessanti ed utili per la prevenzione del fenomeno generale dell'affiliazione a culti ingannevoli e distruttivi. E' doveroso sottolineare che Franco Nanni è un vero e proprio pioniere della diffusione di letteratura critica sul Web. Egli ha ispirato e contribuito a sensibilizzare altri critici dei culti oggi presenti in modo stabile e attivo sul Web. Grazie anche al suo contributo oggi chiunque desideri avere informazioni sui Nuovi Movimenti Religiosi può trovare in rete molto materiale e farsi una opinione confrontando le informazioni diffuse dai culti e quelle contenute nei siti Web dei critici. L'informazione libera e gratuita è uno dei frutti più positivi dello sviluppo di Internet e del coraggio di pionieri come Franco Nanni. Le "sette del potenziale umano" promettono, oltre al solito "risveglio del tuo vero potenziale", anche un certo successo nella vita; il risveglio naturalmente è visto come il presupposto del successo o, almeno, si lascia intuire questo. E se qualcuno avesse un potenziale di negatività micidiale? All'inizio non lo si contempla nemmeno come possibilità. Se dovesse accadere, lo si etichetterà come attacco dei demoni, e il tutto renderà eroico e nobile ciò che prima era solo sfortuna. Ma di questo parleremo dopo.
Rispetto alla promessa di successo, o "benefici", o "buona fortuna" la cosa curiosa è che gran parte degli adepti sono in grado di elencare numerose situazioni in cui ciò è avvenuto per davvero! Come può essere possibile? Credo che in questo ci sia una complessa miscela di realtà e inganno, di storture cialtronesche e autentiche tecniche psicologiche.
Per chiarezza, aggiungo anche che il modello di "setta del potenziale umano" a cui mi riferisco è la Soka Gakkai di cui ho avuto esperienza diretta dal 1990 al 1996; credo che la generalizzazione sia qui in larga misura possibile, ma naturalmente altre organizzazioni potrebbero non riconoscersi del tutto. Aggiungo anche che molte delle tecniche descritte qui sono tipiche anche di altre organizzazioni di multilevel marketing.

Il modello teorico

L'intero sistema si basa su una modificazione "guidata" sia dell'auto-percezione che della percezione della realtà. Per spiegare il modello, mi servirò di un esempio puramente teorico che semplifica molto le successive spiegazioni.
Prendiamo un campione di 10.000 persone, suddiviso in due gruppi equivalenti di 5.000 ciascuno. Ad un gruppo io dirò qualcosa come "domani pioverà" e all'altro il contrario, "domani non pioverà", naturalmente all'insaputa l'uno dell'altro. Non importa cosa io pronostico, ma (per semplicità) occorre che vi siano due sole possibilità.
L'indomani, verificato se ha piovuto o meno, mi rivolgerò solo al gruppo che ha ricevuto il pronostico giusto, dividendolo in due sottogruppi di 2.500, ai quali darò due pronostici contrari, nello stesso modo già descritto. Per semplicità, per ora diciamo che l'altro sottogruppo viene semplicemente "abbandonato".
Il giorno dopo ripeterò esattamente la stessa procedura con due sottogruppi di 1.250. E poi ancora di 625, e poi di 312... sempre abbandonando il sottogruppo al quale ho dato il pronostico sbagliato. Dopo alcuni passaggi, avrò ottenuto un piccolo gruppo di persone che credono fermissimamente che io sia in grado di prevedere il futuro, poichè nessuno sa che tipo di procedura io abbia applicato. Potreste dar loro torto? In fondo essi hanno visto coi loro occhi che io ho azzeccato una lunga serie di pronostici senza errori. Ecco l'errore prospettico: cancellare continuamente gli insuccessi, o, eventualmente, come vedremo, etichettarli in modo da neutralizzarli come prove a sfavore. E naturalmente questo piccolo gruppo di persone, dalla convinzione incrollabile e (dal loro punto di vista) dimostrabile, andrà per il mondo a "diffondere" la notizia. Ovviamente nessuna organizzazione del tipo descritto fa esattamente questo, ma se si continua a leggere si vedrà come questo modello possa esemplificare bene quel che accade concretamente.

Il bambino e l'acqua sporca

Può funzionare un simile modello così teorico se applicato alla realtà? Certamente! Esso opera di continuo, senza nemmeno bisogno di mala fede. Un esempio? Le interviste a persone molto, molto anziane e in buona salute contengono sempre la domanda su quale sia "il loro segreto di longevità", e il vegliardo di turno risponde volentieri con quel che ritiene essere utile per vivere bene e a lungo. In qualche modo ognuno di noi è psicologicamente predisposto a credere a quel che egli dice, se non altro perchè lui fino a quell'età c'è davvero arrivato! Ed è qui l'inganno. Per ogni novantenne che dice (poniamo) che il suo "segreto" è bere un bicchiere d'acqua ogni mattina, quanti ce ne sono che facevano lo stesso, ma che sono già morti, e quindi non possono essere intervistati? Uno? Dieci? Per la statistica basta che ce ne sia almeno uno per poter dire che bere un bicchiere d'acqua al mattino ai fini della longevità non serve a un accidente.
Volendo raggiungere il sublime, potremmo intervistare un arzillo novantottenne che dichiara di avere fumato 20 sigarette al dì fin dalla tenera età di 14 anni! In questo caso solo i dati contrari ormai acquisiti dalla nostra cultura media possono evitarci di credergli; eppure basterebbe considerare che la statistica direbbe comunque che, per uno ancora vivo, di ex quattordicenni fumatori ne sono morti tanti, e ben prima dei 90 anni!
Nello stesso modo "ingenuo" le riviste autoprodotte dalle sette raccontano le esperienze di chi è riuscito, ha avuto benefici, e mai di chi non è riuscito. Non c'è alcuna evidenza nè logica nè tantomeno statistica che le interviste dei "success-men" abbiano qualche significato estensibile ad altri. Anche qui è lo stesso processo: ho praticato così e così per X mesi o anni, e ora sono felice, ho questa famiglia/lavoro/casa/etc.. Già. Ma se non so quanti altri hanno fatto lo stesso desiderando le stesse cose e non le hanno ottenute, una testimonianza così non mi da alcuna indicazione da seguire ossia, nonostante le apparenze, non sta affatto dicendo che se praticherò così e così otterrò... Eppure leggere queste cose "tenta" il nostro sistema decisionale, spingendoci a farlo.

Questo metodo di gestione delle informazioni potrebbe essere chiamato, per brevità, filtraggio statistico, nel senso che la statistica, metodo matematico che deve sempre considerare l'universo del campione, viene qui invece "filtrata" eliminando sempre una parte del campione di riferimento, e sempre con lo stesso criterio, introducendo quindi una deformazione della rappresentazione e percezione dei fatti.
Non c'è nulla di intrinsecamente criminale, nel fare ciò: la mente umana del resto tende a funzionare in questo modo ogni volta che deve decidere qualcosa (ad es. se bere al mattino etc.) senza avere tutte le informazioni necessarie (ad esempio quanti novantenni etc.etc.). Kahnemann e Tversky (esponenti della psicologia sociale di orientamento cognitivista) hanno chiamato "euristiche di giudizio" queste modalità di decisione. Sono le stesse che agiscono nel farci percepire di vivere in una società di criminali per il fatto che i giornali riportano il numero di vittime di infrazioni varie, ma non lo raffrontano col numero (sicuramente più alto) di persone che sono tornate a casa tranquille percorrendo la stessa strada.
La "tecnologia" del filtraggio statistico agisce in sostanza sottraendo informazione: nasconde e/o neutralizza informazioni "a sfavore" e prepara il terreno alle euristiche di giudizio.
è dunque soltanto in base ad una euristica di giudizio che l'adepto di una setta del P.U. si sente certo che la sua pratica "funziona"? Non "soltanto", certo, ma prevalentemente. Dico questo per due ordini di motivi: il primo è che le euristiche di giudizio sono il varco attraverso il quale passano varie altre modalità di costruzione e percezione della realtà (di cui parlerò in seguito), il secondo è che la setta costruisce intorno all'individuo un ambiente (di norma) caloroso e incoraggiante, tale da incrementare e mobilitare le sue risorse ed energie. Questo secondo aspetto non costituisce un aspetto peculiare delle sette P.U. ma di ogni situazione comunitaria "calda", e rappresenta quindi, nella celebre metafora, il "bambino", laddove filtraggio statistico ed euristiche di giudizio sono invece "l'acqua sporca". In questo articolo mi concentrerò soprattutto su quest'ultima, ritenendo che il calore del gruppo e la condivisione di esperienze (per quanto anch'essi possano essere distorti, vedi "love bombing") siano in fondo tra gli aspetti meno malsani della setta.

Due parole sul "bambino"

Le dinamiche di gruppo di una organizzazione possono avere molte forme e dimensioni: quanto vengono lasciate alla spontaneità o viceversa controllate, quanto spazio venga lasciato alla libera espressione di emozioni e quanto invece venga "filtrato"; quale struttura abbiano i gruppi, se vi sia o meno gerarchia, etc. etc. Di solito le sette preferiscono determinate forme ad altre, per motivi funzionali.
In questo articolo mi limito a prendere in esame la dimensione del filtraggio statistico applicata alle dinamiche dei gruppi, ossia, come e se venga operata una sottrazione di informazione anche in questo aspetto particolare. La mia esperienza nella Gakkai dice che tale sottrazione è altamente operativa, spesso effettuata in modo spontaneo da membri zelanti, ma talvolta anche esercitata dall'alto. Nelle situazioni di gruppo è (più o meno implicitamente) vietata ogni espressione di sentimenti negativi, di scoraggiamento, nemmeno di condivisione di esperienze dolorose, a meno che non vi sia un "lieto fine" dovuto alla pratica. La gestione degli interventi e delle "esperienze" è all'insegna di un moderato ma sostanziale trionfalismo, grazie al quale ciò che è degno di essere raccontato è il successo, il positivo, il realizzato, il tutto secondo una ottimistica buona fede assai diffusa e sentita anche "dalla base". Quando e se escono sentimenti e fatti divergenti, essi vengono appena possibile ripresi in mano da qualcuno con il polso necessario; questi cerca di isolare e circoscrivere l'accaduto, "incoraggia" il membro in crisi e lo convince a non raccontare più in pubblico i suoi patemi, perchè membri "più giovani nella fede" potrebbero scoraggiarsi...
Nonostante ciò, talvolta ho assistito a (e anche, a volte, contribuito a far nascere) momenti di autentico auto-aiuto reciproco, basati su una accettazione meno condizionata di sentimenti e bisogni, senza che vi fosse un'immediata normalizzazione, che poi però, magari in ritardo, è arrivata. Credo che la realizzazione di autentici gruppi di auto-aiuto sia un bisogno reale e condiviso da molti membri, che può talvolta anche essere esaudito, ma restando in un sostanziale quadro di necessario filtraggio statistico di ciò che viene espresso nei momenti collettivi. In termini più crudi, credo che anche il "bambino" abbia dovuto deglutire un certo po' po' di acqua sporca. D'altronde, a forza di essere accusato di voler "buttare il bambino con l'acqua sporca", mi sono invece convinto che la Gakkai non vuole proprio che si butti nemmeno l'acqua, che costituisce invece la "bevanda" di elezione per la sua solidità, e questo forse vale anche per molte altre realtà.

L'acqua sporca
Il filtraggio statistico agisce a due livelli e in due modalità:

a livello interpersonale (ne ho parlato nel precedente paragrafo)
a livello intrapersonale
in modalità "sottrazione di informazione" (il modello del pronostico)
in modalità "etichettamento e/o neutralizzazione"
Il filtraggio in modalità sottrazione è più spiccio e pulito, ma da solo non può far fronte a tutte le situazioni: possiamo "non accorgerci" per un po' che il tal membro non realizza un accidente di niente ed è sempre depresso, ma ad un certo punto c'è poco da filtrare. E' allora necessario un adeguato etichettamento: "non recita abbastanza", "è attaccato dal demone", "salta spesso Gongyo"... ah, beh, allora è tutto chiaro, si rianima il membro "giovane nella fede". Parlerò dell'etichettamento nel prossimo paragrafo.
Il livello intrapersonale ricalca il modello e le sue due modalità, ma interviene sul modo individuale di decodificare e strutturare la realtà; richiede quindi un livello di autoinganno più delicato, un etichettamento senza sfumature ma molto raffinato. Ma anche il profano può riuscire a fare qualcosa con alcuni semplici strumenti, vediamone un esempio.
Prendiamo... Anna, una persona "normale". Anna vive e lavora come tanti, e quindi, come tanti, (ad esempio) si incavola quando prende troppi semafori rossi andando al lavoro o non trova parcheggio e timbra in ritardo. Regaliamole un "talismano" che ha la virtù di agevolare la vita quotidiana, in termini, proprio, di semafori verdi e parcheggi. Occorre che Anna ci creda, o almeno che abbia voglia di crederci, quindi che abbia accumulato un certo stress e quel certo fare del tipo "capitano tutte a me". Del resto i pionieri dell'adescamento (o Shakubuku...) sanno bene come scegliere il momento!
E all'improvviso Anna farà qualcosa che non ha mai fatto: noterà i semafori verdi e le volte in cui ha trovato parcheggio prima. Numericamente, sono gli stessi di prima! Ma è cambiato il modo in cui Anna costruisce la "sua" realtà: prima "marca" i semafori rossi e i parcheggi mancati (e ricorda soprattutto quelli), dopo "marca" i verdi e i parcheggi al primo colpo, e, ricordando soprattuto questi, dichiara che il talismano funziona. Diciamo, per usare un termine di un pioniere dello studio dell'ottimismo, Martin Seligman, che ha cambiato "stile interpretativo" (sia pur con una tecnologia grossolana). Magari poi, oserà anche cercare parcheggio in quella zona dove prima nemmeno tentava "tanto là non c'è mai", e, invece trovandolo, rafforzerà la sua convinzione. E consiglierà il talismano agli amici, che ne trarranno il medesimo "beneficio"; meglio forse farebbe a leggere e a fare leggere: M. Seligman, Imparare l'ottimismo, Giunti 1996!
Ora, c'è forse qualcosa di male ad adottare uno stile esplicativo più funzionale ad un certo senso di benessere e controllo sulle situazioni? Assolutamente no, tanto che la psicologia, specialmente di marca USA, ne ha fatto uno dei maggiori oggetti di studio degli ultimi decenni. Il "male" è semmai cosa si "vende" e come: se il talismano costa 200.000 lire ed è solo uno stupido pezzo di plastica è una truffa, se è uno dei tanti libri sull'ottimismo, il self-empowerment, o magari solo questo modestissimo articolo, allora senz'altro è una vendita onesta e vale le 20-30.000 lire spese per l'acquisto.
Dopo decenni di radicale attaccamento al più assoluto obiettivismo ("sei sano se sei assolutamente sincero con te stesso"), le scienze psicologiche ammettono oggi che un certo grado di autoinganno può essere positivo per il benessere e l'efficacia personale, naturalmente se mantenuto entro limiti di realisticità e di sostanziale equilibrio (per una rassegna di ricerche, si veda S.E. Taylor, Illusioni, Giunti 1991).

L'etichettamento.

Incontrai John Blacking, musicologo e antropologo prematuramente scomparso, nel 1987 a Siena; durante un seminario, ad un interlocutore che, nel contraddirlo, affermava di basarsi sui "fatti", rispose con la sua calma ironica, precisa e appassionata: veramente, come antropologo, ho qualche difficoltà a parlare di fatti. Intendeva dire che non esistono tanto dei fatti oggettivamente incontrovertibili, quanto piuttosto il significato socialmente (ri)costruito di essi, o, per meglio dire, che i "fatti" e la loro lettura culturale costituiscono una unità inscindibile. Se ciò è vero a livello socio-culturale, è di conseguenza vero anche nella dimensione individuale di chi è cittadino di una certa cultura. Ciò è in larga misura un processo di integrazione spontaneo e in gran parte fuori della portata conscia dell'individuo; come per la lingua e ogni altro sistema socio-culturale, non esiste un codice unico e valido per tutti, quanto piuttosto ogni individuo è portatore di una sua "copia" personalizzata e in certa misura unica del codice culturale generale. Ad esempio, gli stili esplicativi differiscono da individuo a individuo, ma la gamma socialmente diffusa di tali stili è tipica di intere società, e se ci trasferissimo, ad esempio, in società dove il peso dato alla predestinazione è molto maggiore che nella nostra, troveremmo il segno di ciò anche nel modo in cui gli individui interpretano i fatti che li riguardano. L'etichettamento come tecnica di sottrazione di informazione è un metodo decisamente più pilotato e ingegneristico, che porta alle estreme conseguenze la frase di Blacking; parafrasandolo, potrei dire: come membro di una setta, non conosco dei fatti, ma solo l'interpretazione che il sistema di pensiero della setta ne dà. Ogni informazione non conforme al setta-pensiero deve venire eliminata o, appunto, etichettata in modo da neutralizzarla. Fortunatamente (per i mega-responsabili della setta) non tutto questo lavoro deve essere svolto da loro, al contrario: ogni singolo membro è di norma disposto a fare molto, moltissimo, per mantenere intatto il suo sistema di pensiero. Racconta M. Gazzaniga (vedi Il cervello sociale, Giunti, 1989) di una paziente con alcuni problemi psichiatrici che, nonostante fosse da mesi in un grande ospedale, era fermamente convinta di essere a casa sua. Ah sì, e quelli cosa sono? disse il medico indicandole i grossi ascensori; gli ascensori!, rispose lei, mi è costato una fortuna farli installare!. Il membro "medio" di una setta non arriva a tanto, ma opera spontaneamente ogni giorno aggiustamenti di questo genere per mantenere un certo livello di coerenza tra eventi e credo, e per riuscire a non dirsi "sono proprio diventato imbecille!".
Ci sono sistemi assolutamente tipici di ogni setta: ad esempio gli ex adepti sono per definizione inattendibili, accecati dall'odio, incapaci, fuori di testa, feccia umana, soppressivi, o quant'altro. Altri sistemi sono più delicati e adattati allo specifico mondo di una particolare organizzazione.
Allora, ci si potrebbe chiedere, che male c'è ad etichettare i fatti in un certo modo, se questo è un aspetto tipico di ogni collettività umana? Anche qui, come per le altre tecniche di gestione dell'informazione, è una questione di quantità e qualità, ossia di quante dissonanze cognitive si debbano gestire, e quali. A differenza che nella società "esterna", dove non vi sono particolari obblighi di etichettamento, e dunque dissonanze stridenti vengono ad un certo punto ricodificate in modo spontaneo dal "cervello sociale", nella setta ci possono talvolta essere contraddizioni potenzialmente esplosive che debbono rientrare però in un unico schema globale di pensiero, anche al prezzo di etichettamenti audacemente arzigogolati, in modo da garantire comunque la quadratura del cerchio. Ad esempio nella Gakkai, dato il peso conferito all'esaudimento dei desideri da parte del Gohonzon (l'oggetto di culto), occorre neutralizzare e ridefinire tutte le situazioni in cui i desideri non sono stati realizzati. Gli adepti e l'agiografia sostengono elegantemente che il Gohonzon esaudisce tutti (cioè il 100%) i desideri dei fedeli, e possono farlo perchè, per i casi in cui ciò non accade, si può dire che:
il desiderio era mal formulato: non era chiaro, era ambiguo, troppo grande, troppo piccolo, irraggiungibile... etc.etc.;
riguardano persone che praticano male, o poco, o da troppo poco;
riguardano persone di lunga fede che, "proprio per questo" sono duramente attaccate dal demone;
rappresentano l'ultima uscita del cattivo karma prima che il karma positivo creato dalla pratica si manifesti;
manifestano la "protezione" del Gohonzon verso l'adepto, il quale "non sa" che, se fosse soddisfatto ora il suo desiderio, ciò sarebbe in qualche modo nocivo per lui;
il praticante "non è pronto" per sostenere l'esaudimento del desiderio (vedi sopra);
il praticante non era "profondamente determinato", non "desiderava sinceramente;
il praticante "non ha agito", ossia non ha compiuto tutte le azioni necessarie per giungere al soddisfacimento
Il "dogma" per raggiungere i propri obiettivi recita infatti: è stabilire-pregare-agire. Dunque, se l'obiettivo è mancato, allora ci "deve" essere un difetto in uno dei tre dogmi, come si può vedere nei punti 1, 2, 7 e 8; se poi si ha assoluta certezza (difficile, però!) che il membro ha ben stabilito, pregato e agito, si possono sempre sollevare questioni karmiche (punto 4), demoniache (punto 3) o di "protezione" (punti 5 e 6), che essendo assolutamente indimostrabili, sono generalmente accettate come vere senza discussioni.
La "trinità" dei dogmi è, in definitiva, ben assortita, e, se non ci sono particolari problemi, nevrosi, etc., essa funziona davvero nell'aumentare il senso di auto-efficacia personale (nel senso di A. Bandura) incrementando le aspettative di successo e la mobilitazione delle risorse personali; in questo senso la pratica "funziona", indubbiamente, anche se i suoi benefici effetti non vanno in realtà oltre le normali, statistiche possibilità di un qualunque altro cittadino del mondo con un buon senso di auto-efficacia personale. In altri termini, tutto il bailamme di attività, recitazioni, meetings, proselitismo (pardon, Shakubuku) rappresenta un costo un pochino alto per il risultato che dà. Tanto più che ci sono anche... delle possibili controindicazioni.

Quando il "filtraggio" fa male?

Non era mia intenzione scrivere un articolo in stile Introvigne/Macioti, pompierando e minimizzando i vari aspetti distruttivi delle sette. Tuttavia quell'onestà intellettuale che i miei detrattori mi negano, ma che cerco tuttavia di mantenere mi obbligava a mettere in contatto tra loro due mondi: i recenti studi di ottimi accademici (per restare ai principali: Bandura, Seligman, Taylor) sull'influsso dell'autopercezione nella riuscita esistenziale di comuni esseri umani, da una parte, e le tecnologie di gestione dell'informazione all'interno delle sette del P.U. dall'altro. Finora ho dato maggiore peso ai punti di contatto e alle differenze, sia pur sottolineando che anche i benefici ottenuti da certe tecniche non valgono in definitiva il prezzo richiesto dalla militanza settaria in termini di energie, tempo, costi psicologici, ovvero, che analoghi benefici possono essere ottenuti con strumenti molto meno invasivi e onerosi.
Ma sarebbe ancora scorretto fermarsi qui, ad un mero calcolo di costi e benefici. Un ricordo personale in primo luogo me lo impedisce: nel corso di grossi meetings dove venivano raccontate molte "esperienze" (risultati positivi dovuti alla pratica) ho spesso raccolto da altri o provato io stesso una forte angoscia, un senso di schiacciamento e di fallimento che potrei sintetizzare cosè: Ecco, tutti qui realizzano cose fantastiche, e solo io non ci riesco; c'è qualcosa di sbagliato in me, non ce la faccio...è Sottrarre e/o filtrare le informazioni negative (in questo caso: l'esistenza nel gruppo di persone a cui le cose e/o i sentimenti vanno inesorabilmente male) può incoraggiare e spingere avanti, ma non di rado ottiene proprio l'effetto contrario, inculcando in persone sensibili sentimenti di fallimento, e anche di colpa piuttosto difficili da tollerare, anche perchè sono (e in certa misura devono essere) vissuti in una nera solitudine! è assai arduo, infatti, in un contesto "filtrante", esprimere serenamente sentimenti del genere; di solito ciò accadeva solo in un ambito duale, o di piccolissimo gruppo, in atmosfere insomma "confidenziali". Non mancavano sentimenti negativi complementari, come di essere delle prove viventi che la pratica non funziona sempre, e quindi avere la sensazione essere "ingombranti" per l'organizzazione, che dovrebbe "filtrarci" via... Ricordo che talvolta membri cronicamente "non realizzati" abbandonavano la pratica in assoluto silenzio, quasi "sparivano".
In linea più generale intendo dire questo: se la militanza in una setta del P.U. può dare alcuni vantaggi innegabili (sia pur a carissimo prezzo!) a persone con un buon ancoraggio alla realtà, e un sostanziale equilibrio, per coloro che hanno, al contrario, scarso ancoraggio alla realtà, tendenze depressive, autodistruttive, per non dire poi di nevrosi, o complicazioni psichiatriche, per tutti costoro il rischio di peggiorare fortemente le loro condizioni è alto. Per di più, si verifica un effetto contraddittorio e ingannatore: proprio costoro sono, almeno in una prima fase, quelli apparentemente più "baciati" dalle fantastiche fortune dovute alla pratica. Il che non deve stupire più di tanto: entrare in una organizzazione tipo Gakkai, per un nevrotico o un depresso significa ricevere una dose d'urto di una "terapia strategica" che ristruttura potentemente tutte le gestalt percettive della realtà e di se stessi, con effetti esaltanti, poichè il nevrotico e il depresso non chiedono di meglio che una chiave magica che li liberi come d'incanto da un maleficio che li attanaglia. Potremmo immaginare un "prima" e "dopo" la cura...

PRIMA e DOPO

Mi va tutto male!

Quando le cose vanno bene, è per caso.

Se vanno male, è colpa mia!

Se solo desidero qualcosa, non lo ottengo.

Sono sfortunato.

Non ho il controllo della mia vita.

Adesso mi andrà tutto bene.

Quando le cose vanno bene, è per la mia buona pratica. 

Se vanno male, è perché non ho praticato abbastanza

E a questo c'è rimedio! Praticare di più!

Se desidero sinceramente qualcosa, grazie alla pratica l'otterrò.

Grazie alla pratica accumulerò buona fortuna.

Ho il controllo della mia vita.

Non stupisce che, almeno all'inizio, un individuo che ha registrato uno shock di questo tipo sia entusiasta, appaia un vero "miracolato", diventi iper-adattato ai valori del gruppo, e zelantissimo nella pratica; praticare "molto e bene" è il suo modo di acquisire il controllo sulla sua vita, e non se lo farebbe sfuggire per nulla al mondo. Senonchè anche le sue aspettative saranno straordinariamente alte, e ben al di sopra delle reali possibilità di successo. E' armato, certo, di un incremento decisivo del suo senso di auto-efficacia, che gli aprirà porte finora chiuse; attraverso ciò apprenderà anche nuove gestalt di comportamento, supererà anche varie difficoltà che prima apparivano insormontabili. Ma la sua (scarsa) tolleranza alla frustrazione, e tutto il caos interiore che si portava dietro da prima sono rimasti invariati. Ha appreso parecchio, ma il suo grado di autonomia è rimasto basso quanto prima, aggravato da dissonanze cognitive da aggiustare, etichettamenti e meccanismi di difesa che lavorano a tutto ritmo fino a fargli perdere un po' il senso della realtà, e a sentirsi stanco, stanchissimo... egli è pronto ad incarnare alla perfezione il ruolo dello smiling unhappy, caratteristico di questi gruppi del P.U.

Dedicato ai lettori "membri"

Stai parlando di te stesso, e della tua storia! Non della mia, dunque parla per te e non generalizzare!...
Lo stai pensando, almeno un po'? Hai ragione, quando dici che parlo di me. Questa è anche la mia storia; per meglio dire, qui ho raccolto insieme esperienze mie e di altri. In ogni caso, dopo tre anni di percorso di autoconoscenza profondo, non ho paura a espormi in prima persona, a dire che quando sono entrato nella Gakkai ero in pessime condizioni psicologiche. Ma non starei certo qui a scrivere tutto ciò se non fossi consapevole che questa è anche la storia di tanti altri, e forse anche la tua, e che il materiale esperienziale e di studio da me raccolto ha uno spessore assolutamente non riducibile ad una "esperienza personale". Ridurlo a ciò è semplicemente un etichettamento. Soltanto l'ennesimo, e forse non il più grosso. Infatti, potresti anche etichettarmi come un nevrotico e un depresso, e in questo modo finiresti col dovermi dare ragione su un punto: che la pratica nella Soka non fa bene a chi non sta (psicologicamente) bene. Ma ammettendo questo, dovremmo dire allora che fa bene solo a chi ha già psicologicamente i mezzi per ottenere ciò che vuole. Cio in pratica lascia le cose così come stanno, e piove sul bagnato.
Ma non può piovere per sempre!
Fine
Franco Da Prato