di
Franco Nanni (PIAS)
Inauguriamo
la SEZIONE TESTIMONIANZE con un contributo di Franco Nanni,
un'intelligente ed equilibrata riflessione critica sulla sua
personale esperienza nella Soka Gakkai alla luce di contributi
scientifici interessanti ed utili per la prevenzione del fenomeno
generale dell'affiliazione a culti ingannevoli e distruttivi. E'
doveroso sottolineare che Franco Nanni è un vero e proprio pioniere
della diffusione di letteratura critica sul Web. Egli ha ispirato e
contribuito a sensibilizzare altri critici dei culti oggi presenti in
modo stabile e attivo sul Web. Grazie anche al suo contributo oggi
chiunque desideri avere informazioni sui Nuovi Movimenti Religiosi
può trovare in rete molto materiale e farsi una opinione
confrontando le informazioni diffuse dai culti e quelle contenute nei
siti Web dei critici. L'informazione libera e gratuita è uno dei
frutti più positivi dello sviluppo di Internet e del coraggio di
pionieri come Franco Nanni. Le "sette del potenziale umano"
promettono, oltre al solito "risveglio del tuo vero potenziale",
anche un certo successo nella vita; il risveglio naturalmente è
visto come il presupposto del successo o, almeno, si lascia intuire
questo. E se qualcuno avesse un potenziale di negatività micidiale?
All'inizio non lo si contempla nemmeno come possibilità. Se dovesse
accadere, lo si etichetterà come attacco dei demoni, e il tutto
renderà eroico e nobile ciò che prima era solo sfortuna. Ma di
questo parleremo dopo.
Rispetto
alla promessa di successo, o "benefici", o "buona
fortuna" la cosa curiosa è che gran parte degli adepti sono in
grado di elencare numerose situazioni in cui ciò è avvenuto per
davvero! Come può essere possibile? Credo che in questo ci sia una
complessa miscela di realtà e inganno, di storture cialtronesche e
autentiche tecniche psicologiche.
Per
chiarezza, aggiungo anche che il modello di "setta del
potenziale umano" a cui mi riferisco è la Soka Gakkai di cui ho
avuto esperienza diretta dal 1990 al 1996; credo che la
generalizzazione sia qui in larga misura possibile, ma naturalmente
altre organizzazioni potrebbero non riconoscersi del tutto. Aggiungo
anche che molte delle tecniche descritte qui sono tipiche anche di
altre organizzazioni di multilevel marketing.
Il
modello teorico
L'intero
sistema si basa su una modificazione "guidata" sia
dell'auto-percezione che della percezione della realtà. Per spiegare
il modello, mi servirò di un esempio puramente teorico che
semplifica molto le successive spiegazioni.
Prendiamo
un campione di 10.000 persone, suddiviso in due gruppi equivalenti di
5.000 ciascuno. Ad un gruppo io dirò qualcosa come "domani
pioverà" e all'altro il contrario, "domani non pioverà",
naturalmente all'insaputa l'uno dell'altro. Non importa cosa io
pronostico, ma (per semplicità) occorre che vi siano due sole
possibilità.
L'indomani,
verificato se ha piovuto o meno, mi rivolgerò solo al gruppo che ha
ricevuto il pronostico giusto, dividendolo in due sottogruppi di
2.500, ai quali darò due pronostici contrari, nello stesso modo già
descritto. Per semplicità, per ora diciamo che l'altro sottogruppo
viene semplicemente "abbandonato".
Il
giorno dopo ripeterò esattamente la stessa procedura con due
sottogruppi di 1.250. E poi ancora di 625, e poi di 312... sempre
abbandonando il sottogruppo al quale ho dato il pronostico sbagliato.
Dopo alcuni passaggi, avrò ottenuto un piccolo gruppo di persone che
credono fermissimamente che io sia in grado di prevedere il futuro,
poichè nessuno sa che tipo di procedura io abbia applicato. Potreste
dar loro torto? In fondo essi hanno visto coi loro occhi che io ho
azzeccato una lunga serie di pronostici senza errori. Ecco l'errore
prospettico: cancellare continuamente gli insuccessi, o,
eventualmente, come vedremo, etichettarli in modo da neutralizzarli
come prove a sfavore. E naturalmente questo piccolo gruppo di
persone, dalla convinzione incrollabile e (dal loro punto di vista)
dimostrabile, andrà per il mondo a "diffondere" la
notizia. Ovviamente nessuna organizzazione del tipo descritto fa
esattamente questo, ma se si continua a leggere si vedrà come questo
modello possa esemplificare bene quel che accade concretamente.
Il
bambino e l'acqua sporca
Può
funzionare un simile modello così teorico se applicato alla realtà?
Certamente! Esso opera di continuo, senza nemmeno bisogno di mala
fede. Un esempio? Le interviste a persone molto, molto anziane e in
buona salute contengono sempre la domanda su quale sia "il loro
segreto di longevità", e il vegliardo di turno risponde
volentieri con quel che ritiene essere utile per vivere bene e a
lungo. In qualche modo ognuno di noi è psicologicamente predisposto
a credere a quel che egli dice, se non altro perchè lui fino a
quell'età c'è davvero arrivato! Ed è qui l'inganno. Per ogni
novantenne che dice (poniamo) che il suo "segreto" è bere
un bicchiere d'acqua ogni mattina, quanti ce ne sono che facevano lo
stesso, ma che sono già morti, e quindi non possono essere
intervistati? Uno? Dieci? Per la statistica basta che ce ne sia
almeno uno per poter dire che bere un bicchiere d'acqua al mattino ai
fini della longevità non serve a un accidente.
Volendo
raggiungere il sublime, potremmo intervistare un arzillo
novantottenne che dichiara di avere fumato 20 sigarette al dì fin
dalla tenera età di 14 anni! In questo caso solo i dati contrari
ormai acquisiti dalla nostra cultura media possono evitarci di
credergli; eppure basterebbe considerare che la statistica direbbe
comunque che, per uno ancora vivo, di ex quattordicenni fumatori ne
sono morti tanti, e ben prima dei 90 anni!
Nello
stesso modo "ingenuo" le riviste autoprodotte dalle sette
raccontano le esperienze di chi è riuscito, ha avuto benefici, e mai
di chi non è riuscito. Non c'è alcuna evidenza nè logica nè
tantomeno statistica che le interviste dei "success-men"
abbiano qualche significato estensibile ad altri. Anche qui è lo
stesso processo: ho praticato così e così per X mesi o anni, e ora
sono felice, ho questa famiglia/lavoro/casa/etc.. Già. Ma se non so
quanti altri hanno fatto lo stesso desiderando le stesse cose e non
le hanno ottenute, una testimonianza così non mi da alcuna
indicazione da seguire ossia, nonostante le apparenze, non sta
affatto dicendo che se praticherò così e così otterrò... Eppure
leggere queste cose "tenta" il nostro sistema decisionale,
spingendoci a farlo.
Questo
metodo di gestione delle informazioni potrebbe essere chiamato, per
brevità, filtraggio statistico, nel senso che la statistica, metodo
matematico che deve sempre considerare l'universo del campione, viene
qui invece "filtrata" eliminando sempre una parte del
campione di riferimento, e sempre con lo stesso criterio,
introducendo quindi una deformazione della rappresentazione e
percezione dei fatti.
Non
c'è nulla di intrinsecamente criminale, nel fare ciò: la mente
umana del resto tende a funzionare in questo modo ogni volta che deve
decidere qualcosa (ad es. se bere al mattino etc.) senza avere tutte
le informazioni necessarie (ad esempio quanti novantenni etc.etc.).
Kahnemann e Tversky (esponenti della psicologia sociale di
orientamento cognitivista) hanno chiamato "euristiche di
giudizio" queste modalità di decisione. Sono le stesse che
agiscono nel farci percepire di vivere in una società di criminali
per il fatto che i giornali riportano il numero di vittime di
infrazioni varie, ma non lo raffrontano col numero (sicuramente più
alto) di persone che sono tornate a casa tranquille percorrendo la
stessa strada.
La
"tecnologia" del filtraggio statistico agisce in sostanza
sottraendo informazione: nasconde e/o neutralizza informazioni "a
sfavore" e prepara il terreno alle euristiche di giudizio.
è
dunque soltanto in base ad una euristica di giudizio che l'adepto di
una setta del P.U. si sente certo che la sua pratica "funziona"?
Non "soltanto", certo, ma prevalentemente. Dico questo per
due ordini di motivi: il primo è che le euristiche di giudizio sono
il varco attraverso il quale passano varie altre modalità di
costruzione e percezione della realtà (di cui parlerò in seguito),
il secondo è che la setta costruisce intorno all'individuo un
ambiente (di norma) caloroso e incoraggiante, tale da incrementare e
mobilitare le sue risorse ed energie. Questo secondo aspetto non
costituisce un aspetto peculiare delle sette P.U. ma di ogni
situazione comunitaria "calda", e rappresenta quindi, nella
celebre metafora, il "bambino", laddove filtraggio
statistico ed euristiche di giudizio sono invece "l'acqua
sporca". In questo articolo mi concentrerò soprattutto su
quest'ultima, ritenendo che il calore del gruppo e la condivisione di
esperienze (per quanto anch'essi possano essere distorti, vedi "love
bombing") siano in fondo tra gli aspetti meno malsani della
setta.
Due
parole sul "bambino"
Le
dinamiche di gruppo di una organizzazione possono avere molte forme e
dimensioni: quanto vengono lasciate alla spontaneità o viceversa
controllate, quanto spazio venga lasciato alla libera espressione di
emozioni e quanto invece venga "filtrato"; quale struttura
abbiano i gruppi, se vi sia o meno gerarchia, etc. etc. Di solito le
sette preferiscono determinate forme ad altre, per motivi funzionali.
In
questo articolo mi limito a prendere in esame la dimensione del
filtraggio statistico applicata alle dinamiche dei gruppi, ossia,
come e se venga operata una sottrazione di informazione anche in
questo aspetto particolare. La mia esperienza nella Gakkai dice che
tale sottrazione è altamente operativa, spesso effettuata in modo
spontaneo da membri zelanti, ma talvolta anche esercitata dall'alto.
Nelle situazioni di gruppo è (più o meno implicitamente) vietata
ogni espressione di sentimenti negativi, di scoraggiamento, nemmeno
di condivisione di esperienze dolorose, a meno che non vi sia un
"lieto fine" dovuto alla pratica. La gestione degli
interventi e delle "esperienze" è all'insegna di un
moderato ma sostanziale trionfalismo, grazie al quale ciò che è
degno di essere raccontato è il successo, il positivo, il
realizzato, il tutto secondo una ottimistica buona fede assai diffusa
e sentita anche "dalla base". Quando e se escono sentimenti
e fatti divergenti, essi vengono appena possibile ripresi in mano da
qualcuno con il polso necessario; questi cerca di isolare e
circoscrivere l'accaduto, "incoraggia" il membro in crisi e
lo convince a non raccontare più in pubblico i suoi patemi, perchè
membri "più giovani nella fede" potrebbero scoraggiarsi...
Nonostante
ciò, talvolta ho assistito a (e anche, a volte, contribuito a far
nascere) momenti di autentico auto-aiuto reciproco, basati su una
accettazione meno condizionata di sentimenti e bisogni, senza che vi
fosse un'immediata normalizzazione, che poi però, magari in ritardo,
è arrivata. Credo che la realizzazione di autentici gruppi di
auto-aiuto sia un bisogno reale e condiviso da molti membri, che può
talvolta anche essere esaudito, ma restando in un sostanziale quadro
di necessario filtraggio statistico di ciò che viene espresso nei
momenti collettivi. In termini più crudi, credo che anche il
"bambino" abbia dovuto deglutire un certo po' po' di acqua
sporca. D'altronde, a forza di essere accusato di voler "buttare
il bambino con l'acqua sporca", mi sono invece convinto che la
Gakkai non vuole proprio che si butti nemmeno l'acqua, che
costituisce invece la "bevanda" di elezione per la sua
solidità, e questo forse vale anche per molte altre realtà.
L'acqua
sporca
Il
filtraggio statistico agisce a due livelli e in due modalità:
a
livello interpersonale (ne ho parlato nel precedente paragrafo)
a
livello intrapersonale
in
modalità "sottrazione di informazione" (il modello del
pronostico)
in
modalità "etichettamento e/o neutralizzazione"
Il
filtraggio in modalità sottrazione è più spiccio e pulito, ma da
solo non può far fronte a tutte le situazioni: possiamo "non
accorgerci" per un po' che il tal membro non realizza un
accidente di niente ed è sempre depresso, ma ad un certo punto c'è
poco da filtrare. E' allora necessario un adeguato etichettamento:
"non recita abbastanza", "è attaccato dal demone",
"salta spesso Gongyo"... ah, beh, allora è tutto chiaro,
si rianima il membro "giovane nella fede". Parlerò
dell'etichettamento nel prossimo paragrafo.
Il
livello intrapersonale ricalca il modello e le sue due modalità, ma
interviene sul modo individuale di decodificare e strutturare la
realtà; richiede quindi un livello di autoinganno più delicato, un
etichettamento senza sfumature ma molto raffinato. Ma anche il
profano può riuscire a fare qualcosa con alcuni semplici strumenti,
vediamone un esempio.
Prendiamo...
Anna, una persona "normale". Anna vive e lavora come tanti,
e quindi, come tanti, (ad esempio) si incavola quando prende troppi
semafori rossi andando al lavoro o non trova parcheggio e timbra in
ritardo. Regaliamole un "talismano" che ha la virtù di
agevolare la vita quotidiana, in termini, proprio, di semafori verdi
e parcheggi. Occorre che Anna ci creda, o almeno che abbia voglia di
crederci, quindi che abbia accumulato un certo stress e quel certo
fare del tipo "capitano tutte a me". Del resto i pionieri
dell'adescamento (o Shakubuku...) sanno bene come scegliere il
momento!
E
all'improvviso Anna farà qualcosa che non ha mai fatto: noterà i
semafori verdi e le volte in cui ha trovato parcheggio prima.
Numericamente, sono gli stessi di prima! Ma è cambiato il modo in
cui Anna costruisce la "sua" realtà: prima "marca"
i semafori rossi e i parcheggi mancati (e ricorda soprattutto
quelli), dopo "marca" i verdi e i parcheggi al primo colpo,
e, ricordando soprattuto questi, dichiara che il talismano funziona.
Diciamo, per usare un termine di un pioniere dello studio
dell'ottimismo, Martin Seligman, che ha cambiato "stile
interpretativo" (sia pur con una tecnologia grossolana). Magari
poi, oserà anche cercare parcheggio in quella zona dove prima
nemmeno tentava "tanto là non c'è mai", e, invece
trovandolo, rafforzerà la sua convinzione. E consiglierà il
talismano agli amici, che ne trarranno il medesimo "beneficio";
meglio forse farebbe a leggere e a fare leggere: M. Seligman,
Imparare l'ottimismo, Giunti 1996!
Ora,
c'è forse qualcosa di male ad adottare uno stile esplicativo più
funzionale ad un certo senso di benessere e controllo sulle
situazioni? Assolutamente no, tanto che la psicologia, specialmente
di marca USA, ne ha fatto uno dei maggiori oggetti di studio degli
ultimi decenni. Il "male" è semmai cosa si "vende"
e come: se il talismano costa 200.000 lire ed è solo uno stupido
pezzo di plastica è una truffa, se è uno dei tanti libri
sull'ottimismo, il self-empowerment, o magari solo questo
modestissimo articolo, allora senz'altro è una vendita onesta e vale
le 20-30.000 lire spese per l'acquisto.
Dopo
decenni di radicale attaccamento al più assoluto obiettivismo ("sei
sano se sei assolutamente sincero con te stesso"), le scienze
psicologiche ammettono oggi che un certo grado di autoinganno può
essere positivo per il benessere e l'efficacia personale,
naturalmente se mantenuto entro limiti di realisticità e di
sostanziale equilibrio (per una rassegna di ricerche, si veda S.E.
Taylor, Illusioni, Giunti 1991).
L'etichettamento.
Incontrai
John Blacking, musicologo e antropologo prematuramente scomparso, nel
1987 a Siena; durante un seminario, ad un interlocutore che, nel
contraddirlo, affermava di basarsi sui "fatti", rispose con
la sua calma ironica, precisa e appassionata: veramente, come
antropologo, ho qualche difficoltà a parlare di fatti. Intendeva
dire che non esistono tanto dei fatti oggettivamente
incontrovertibili, quanto piuttosto il significato socialmente
(ri)costruito di essi, o, per meglio dire, che i "fatti" e
la loro lettura culturale costituiscono una unità inscindibile. Se
ciò è vero a livello socio-culturale, è di conseguenza vero anche
nella dimensione individuale di chi è cittadino di una certa
cultura. Ciò è in larga misura un processo di integrazione
spontaneo e in gran parte fuori della portata conscia dell'individuo;
come per la lingua e ogni altro sistema socio-culturale, non esiste
un codice unico e valido per tutti, quanto piuttosto ogni individuo è
portatore di una sua "copia" personalizzata e in certa
misura unica del codice culturale generale. Ad esempio, gli stili
esplicativi differiscono da individuo a individuo, ma la gamma
socialmente diffusa di tali stili è tipica di intere società, e se
ci trasferissimo, ad esempio, in società dove il peso dato alla
predestinazione è molto maggiore che nella nostra, troveremmo il
segno di ciò anche nel modo in cui gli individui interpretano i
fatti che li riguardano. L'etichettamento come tecnica di sottrazione
di informazione è un metodo decisamente più pilotato e
ingegneristico, che porta alle estreme conseguenze la frase di
Blacking; parafrasandolo, potrei dire: come membro di una setta, non
conosco dei fatti, ma solo l'interpretazione che il sistema di
pensiero della setta ne dà. Ogni informazione non conforme al
setta-pensiero deve venire eliminata o, appunto, etichettata in modo
da neutralizzarla. Fortunatamente (per i mega-responsabili della
setta) non tutto questo lavoro deve essere svolto da loro, al
contrario: ogni singolo membro è di norma disposto a fare molto,
moltissimo, per mantenere intatto il suo sistema di pensiero.
Racconta M. Gazzaniga (vedi Il cervello sociale, Giunti, 1989) di una
paziente con alcuni problemi psichiatrici che, nonostante fosse da
mesi in un grande ospedale, era fermamente convinta di essere a casa
sua. Ah sì, e quelli cosa sono? disse il medico indicandole i grossi
ascensori; gli ascensori!, rispose lei, mi è costato una fortuna
farli installare!. Il membro "medio" di una setta non
arriva a tanto, ma opera spontaneamente ogni giorno aggiustamenti di
questo genere per mantenere un certo livello di coerenza tra eventi e
credo, e per riuscire a non dirsi "sono proprio diventato
imbecille!".
Ci
sono sistemi assolutamente tipici di ogni setta: ad esempio gli ex
adepti sono per definizione inattendibili, accecati
dall'odio, incapaci, fuori di testa, feccia umana,
soppressivi, o quant'altro. Altri sistemi sono più delicati e
adattati allo specifico mondo di una particolare organizzazione.
Allora,
ci si potrebbe chiedere, che male c'è ad etichettare i fatti in un
certo modo, se questo è un aspetto tipico di ogni collettività
umana? Anche qui, come per le altre tecniche di gestione
dell'informazione, è una questione di quantità e qualità, ossia di
quante dissonanze cognitive si debbano gestire, e quali. A differenza
che nella società "esterna", dove non vi sono particolari
obblighi di etichettamento, e dunque dissonanze stridenti vengono ad
un certo punto ricodificate in modo spontaneo dal "cervello
sociale", nella setta ci possono talvolta essere contraddizioni
potenzialmente esplosive che debbono rientrare però in un unico
schema globale di pensiero, anche al prezzo di etichettamenti
audacemente arzigogolati, in modo da garantire comunque la quadratura
del cerchio. Ad esempio nella Gakkai, dato il peso conferito
all'esaudimento dei desideri da parte del Gohonzon (l'oggetto di
culto), occorre neutralizzare e ridefinire tutte le situazioni in cui
i desideri non sono stati realizzati. Gli adepti e l'agiografia
sostengono elegantemente che il Gohonzon esaudisce tutti (cioè il
100%) i desideri dei fedeli, e possono farlo perchè, per i casi in
cui ciò non accade, si può dire che:
il
desiderio era mal formulato: non era chiaro, era ambiguo, troppo
grande, troppo piccolo, irraggiungibile... etc.etc.;
riguardano
persone che praticano male, o poco, o da troppo poco;
riguardano
persone di lunga fede che, "proprio per questo" sono
duramente attaccate dal demone;
rappresentano
l'ultima uscita del cattivo karma prima che il karma positivo creato
dalla pratica si manifesti;
manifestano
la "protezione" del Gohonzon verso l'adepto, il quale "non
sa" che, se fosse soddisfatto ora il suo desiderio, ciò sarebbe
in qualche modo nocivo per lui;
il
praticante "non è pronto" per sostenere l'esaudimento del
desiderio (vedi sopra);
il
praticante non era "profondamente determinato", non
"desiderava sinceramente;
il
praticante "non ha agito", ossia non ha compiuto tutte le
azioni necessarie per giungere al soddisfacimento
Il
"dogma" per raggiungere i propri obiettivi recita infatti:
è stabilire-pregare-agire. Dunque, se l'obiettivo è mancato, allora
ci "deve" essere un difetto in uno dei tre dogmi, come si
può vedere nei punti 1, 2, 7 e 8; se poi si ha assoluta certezza
(difficile, però!) che il membro ha ben stabilito, pregato e agito,
si possono sempre sollevare questioni karmiche (punto 4), demoniache
(punto 3) o di "protezione" (punti 5 e 6), che essendo
assolutamente indimostrabili, sono generalmente accettate come vere
senza discussioni.
La
"trinità" dei dogmi è, in definitiva, ben assortita, e,
se non ci sono particolari problemi, nevrosi, etc., essa funziona
davvero nell'aumentare il senso di auto-efficacia personale (nel
senso di A. Bandura) incrementando le aspettative di successo e la
mobilitazione delle risorse personali; in questo senso la pratica
"funziona", indubbiamente, anche se i suoi benefici effetti
non vanno in realtà oltre le normali, statistiche possibilità di un
qualunque altro cittadino del mondo con un buon senso di
auto-efficacia personale. In altri termini, tutto il bailamme di
attività, recitazioni, meetings, proselitismo (pardon, Shakubuku)
rappresenta un costo un pochino alto per il risultato che dà. Tanto
più che ci sono anche... delle possibili controindicazioni.
Quando
il "filtraggio" fa male?
Non
era mia intenzione scrivere un articolo in stile Introvigne/Macioti,
pompierando e minimizzando i vari aspetti distruttivi delle sette.
Tuttavia quell'onestà intellettuale che i miei detrattori mi negano,
ma che cerco tuttavia di mantenere mi obbligava a mettere in contatto
tra loro due mondi: i recenti studi di ottimi accademici (per restare
ai principali: Bandura, Seligman, Taylor) sull'influsso
dell'autopercezione nella riuscita esistenziale di comuni esseri
umani, da una parte, e le tecnologie di gestione dell'informazione
all'interno delle sette del P.U. dall'altro. Finora ho dato maggiore
peso ai punti di contatto e alle differenze, sia pur sottolineando
che anche i benefici ottenuti da certe tecniche non valgono in
definitiva il prezzo richiesto dalla militanza settaria in termini di
energie, tempo, costi psicologici, ovvero, che analoghi benefici
possono essere ottenuti con strumenti molto meno invasivi e onerosi.
Ma
sarebbe ancora scorretto fermarsi qui, ad un mero calcolo di costi e
benefici. Un ricordo personale in primo luogo me lo impedisce: nel
corso di grossi meetings dove venivano raccontate molte "esperienze"
(risultati positivi dovuti alla pratica) ho spesso raccolto da altri
o provato io stesso una forte angoscia, un senso di schiacciamento e
di fallimento che potrei sintetizzare cosè: Ecco, tutti qui
realizzano cose fantastiche, e solo io non ci riesco; c'è qualcosa
di sbagliato in me, non ce la faccio...è Sottrarre e/o filtrare le
informazioni negative (in questo caso: l'esistenza nel gruppo di
persone a cui le cose e/o i sentimenti vanno inesorabilmente male)
può incoraggiare e spingere avanti, ma non di rado ottiene proprio
l'effetto contrario, inculcando in persone sensibili sentimenti di
fallimento, e anche di colpa piuttosto difficili da tollerare, anche
perchè sono (e in certa misura devono essere) vissuti in una nera
solitudine! è assai arduo, infatti, in un contesto "filtrante",
esprimere serenamente sentimenti del genere; di solito ciò accadeva
solo in un ambito duale, o di piccolissimo gruppo, in atmosfere
insomma "confidenziali". Non mancavano sentimenti negativi
complementari, come di essere delle prove viventi che la pratica non
funziona sempre, e quindi avere la sensazione essere "ingombranti"
per l'organizzazione, che dovrebbe "filtrarci" via...
Ricordo che talvolta membri cronicamente "non realizzati"
abbandonavano la pratica in assoluto silenzio, quasi "sparivano".
In
linea più generale intendo dire questo: se la militanza in una setta
del P.U. può dare alcuni vantaggi innegabili (sia pur a carissimo
prezzo!) a persone con un buon ancoraggio alla realtà, e un
sostanziale equilibrio, per coloro che hanno, al contrario, scarso
ancoraggio alla realtà, tendenze depressive, autodistruttive, per
non dire poi di nevrosi, o complicazioni psichiatriche, per tutti
costoro il rischio di peggiorare fortemente le loro condizioni è
alto. Per di più, si verifica un effetto contraddittorio e
ingannatore: proprio costoro sono, almeno in una prima fase, quelli
apparentemente più "baciati" dalle fantastiche fortune
dovute alla pratica. Il che non deve stupire più di tanto: entrare
in una organizzazione tipo Gakkai, per un nevrotico o un depresso
significa ricevere una dose d'urto di una "terapia strategica"
che ristruttura potentemente tutte le gestalt percettive della
realtà e di se stessi, con effetti esaltanti, poichè il nevrotico e
il depresso non chiedono di meglio che una chiave magica che li
liberi come d'incanto da un maleficio che li attanaglia. Potremmo
immaginare un "prima" e "dopo" la cura...
PRIMA e DOPO
Mi
va tutto male!
Quando
le cose vanno bene, è per caso.
Se
vanno male, è colpa mia!
Se
solo desidero qualcosa, non lo ottengo.
Sono
sfortunato.
Non
ho il controllo della mia vita.
Adesso
mi andrà tutto bene.
Quando
le cose vanno bene, è per la mia buona pratica.
Se vanno male, è perché non ho praticato abbastanza.
E a questo c'è rimedio! Praticare di
più!
Se
desidero sinceramente qualcosa, grazie alla pratica l'otterrò.
Grazie
alla pratica accumulerò buona fortuna.
Ho
il controllo della mia vita.
Non
stupisce che, almeno all'inizio, un individuo che ha registrato uno
shock di questo tipo sia entusiasta, appaia un vero "miracolato",
diventi iper-adattato ai valori del gruppo, e zelantissimo nella
pratica; praticare "molto e bene" è il suo modo di
acquisire il controllo sulla sua vita, e non se lo farebbe sfuggire
per nulla al mondo. Senonchè anche le sue aspettative saranno
straordinariamente alte, e ben al di sopra delle reali possibilità
di successo. E' armato, certo, di un incremento decisivo del suo
senso di auto-efficacia, che gli aprirà porte finora chiuse;
attraverso ciò apprenderà anche nuove gestalt di comportamento,
supererà anche varie difficoltà che prima apparivano
insormontabili. Ma la sua (scarsa) tolleranza alla frustrazione, e
tutto il caos interiore che si portava dietro da prima sono rimasti
invariati. Ha appreso parecchio, ma il suo grado di autonomia è
rimasto basso quanto prima, aggravato da dissonanze cognitive da
aggiustare, etichettamenti e meccanismi di difesa che lavorano a
tutto ritmo fino a fargli perdere un po' il senso della realtà, e a
sentirsi stanco, stanchissimo... egli è pronto ad incarnare alla
perfezione il ruolo dello smiling unhappy, caratteristico di questi
gruppi del P.U.
Dedicato
ai lettori "membri"
Stai
parlando di te stesso, e della tua storia! Non della mia, dunque
parla per te e non generalizzare!...
Lo
stai pensando, almeno un po'? Hai ragione, quando dici che parlo di
me. Questa è anche la mia storia; per meglio dire, qui ho raccolto
insieme esperienze mie e di altri. In ogni caso, dopo tre anni di
percorso di autoconoscenza profondo, non ho paura a espormi in prima
persona, a dire che quando sono entrato nella Gakkai ero in pessime
condizioni psicologiche. Ma non starei certo qui a scrivere tutto ciò
se non fossi consapevole che questa è anche la storia di tanti
altri, e forse anche la tua, e che il materiale esperienziale e di
studio da me raccolto ha uno spessore assolutamente non riducibile ad
una "esperienza personale". Ridurlo a ciò è semplicemente
un etichettamento. Soltanto l'ennesimo, e forse non il più grosso.
Infatti, potresti anche etichettarmi come un nevrotico e un depresso,
e in questo modo finiresti col dovermi dare ragione su un punto: che
la pratica nella Soka non fa bene a chi non sta (psicologicamente)
bene. Ma ammettendo questo, dovremmo dire allora che fa bene solo a
chi ha già psicologicamente i mezzi per ottenere ciò che vuole. Cio
in pratica lascia le cose così come stanno, e piove sul bagnato.
Ma
non può piovere per sempre!
Fine
Franco Da Prato